l'essere

da Letture a Palazzo

Chivasso - 13 Settembre 2012
(appunti di fra Stefano Campana rivisti ma non corretti)

1. La nostra è detta “società postmoderna”:
tentativo di riassumerne le caratteristiche

Premessa

Moderno e post-moderno
Gli esperti parlano della nostra società come di una società post-moderna. Sappiamo il genericismo e approssimazione che spesso si celano dietro alcune parole ritenute magiche ed esaustive. Sono da usarsi con cautela e consapevolezza del loro limite; ci servono comunque per cogliere il nuovo o la specificità che contraddistingue i grandi passaggi nella storia.
Occorre comunque una precisione minima di ordine lessicale-semantico.
Nell’accezione comune 'moderno' significa ciò che e del momento, attuale (dall'avverbio latino “modo” = or ora, adesso). Come categoria storica, ormai consolidata nell’insegnamento ufficiale della storia, 'moderno' sta per il periodo che dalla scoperta dell'America (1492) va ?no all'inizio della rivoluzione francese. Evidentemente la civiltà umanistico-rinascimentale si presenta come “moderna”, rispetto al medioevo, perché più volta al presente e tendente a vedere nell'uomo un protagonista del proprio destino; mentre il medioevo tendeva a leggere nel passato la cifra del presente (pensate alla forza persuasiva delle *auctoritates antiquae).
Esiste poi una super-categoria, per la quale 'moderno' si intende quella fase della civiltà occidentale che è stata profondamente segnata dalla supremazia della ragione e della scienza, dalla rivoluzione industriale, dal progresso inde?nito, ecc... Fino a qualche anno fa si dava per scontato che la nostra era ancora l'epoca moderna. Ora invece ci si domanda seriamente se non sia già in corso il passaggio ad altra epoca, per la quale non è stato ancora coniato altro termine se quello di postmoderno'. Nietzsche. Freud, l’avanguardia artistica, ecc... non sono passati invano.
ll concetto di postmoderno compare per la prima volta in un'opera di Rudolf Pannwitz nel 1917; ma occorre aspettare dopo gli anni sessanta perchè il concetto si definisca e accolga una consapevolezza più diffusa e motivata. A stendere il primo manifesto della postmodernità e stato il filosofo J.-F. Lyotard ("La condizione postmoderna. Ri?essioni sul sapere", Milano 1979). Nel manifesto e nelle ri?essioni susseguenti di altri pensatori si e giunti a vedere nel postmoderno il vacillare della ragione come criterio unico e assoluto, la 'falsi?cabilità' della scienza (il termine è di K. Popper), la crisi delle 'metanarrazioni' (ossia le grandi filosofie o narrazioni che hanno fatto da guida alla modernità), e cosi via (sarà l`argomento della 13 parte del mio intervento).

Caratteri della società postmoderna

Entro ora nel merito della società cosiddetta “postmoderna” nella quale viviamo.
Occorre aiutarci reciprocamente a capirla, questa nuova società. Dobbiamo rifletterci sopra; non illudiamoci di conoscere il nostro tempo per il fatto che ci viviamo dentro. Non è affatto scontato. E anche la mia analisi, pur essendo fatta di abbondanti letture e confronti sull’argomento, e soltanto un tentativo di conoscenza, modesto e parziale. Farò riferimento agli atteggiamenti, al costume, e non solo; perché sono importanti anche le motivazioni e le categorie intellettuali che ci stanno dietro.
Tento dunque di delineare un quadro della nostra società individuando quattro caratteri o componenti fondamentali.

1. La secolarizzazione

Nell’accezione più ampia 'secolarizzazione' e il riconoscimento dell'autonomia delle realtà profane rispetto alla religione. Pur ammettendo che tali realtà provengono da Dio, esse procedono secondo principi e cause proprie; tocca alla sagacia e all’intraprendenza dell’uomo scoprirle e ordinarle. Vista cosi, la secolarizzazione ha una positività anche per l'uomo che si professa religioso. Questa affermazione di principio ha tuttavia bisogno di alcune esplicitazioni:

ln questa visione viene recuperato il primo livello della rivelazione di Dio, che è la sua creazione. Tutto ciò che è creato ha una sua dignità; tutto è sacro o tutto è profano, se si vuole. Quella secolarizzazione, che agli occhi di qualcuno potrebbe suonare come “tutto si sta allontanando da Dio", in realtà ricompone tutto nella consapevolezza che ogni cosa proviene da Dio.
C’è una puri?cazione dell'immagine di Dio, dalle proiezioni della religiosità naturale. L'antico tipo di religiosità, molto legata alla misteriosità delle leggi naturali, attribuiva a Dio cose che noi siamo in grado di interpretare nella catena delle cause ?siche. Quante volte nelle calamità naturali si gridava all'intervento diretto della divinità? La religione rivelata o dello spirito non ha paura di scoprire che il mondo ha le sue leggi, per cui non si deve gridare all'ateismo se si dice 'in questo Dio non c'entra' (almeno direttamente). Alcuni teologi parlano di una onnipotenza divina che si autolimita per fare spazio alla libera iniziativa dell'uomo.
Cade la barriera tra il sacro e il profano. Anche noi cristiani siamo stati tentati spesso di separare tra luogo sacro e luogo profano, persona sacra o no. C’è sì una consacrazione, quella che il Cristo vuole fare di ciascuno di noi e che passa attraverso la nostra libera adesione del cuore; non esistono aprioristicamente oggetti persone sacre contrapposte alle profane. ll mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio significa recupero della condizione creaturale in tutte le sue pieghe e anfratti ('discese agli inferi', cioè nelle profondità della condizione umana); Gesù muore fuori dalle mura di Gerusalemme, cioè fuori dal recinto sacro della religiosità ebraica del tempo: la morte di un malfattore avrebbe resa impura la città. La sua morte fuori le mura comporta l’abbattimento delle mura stesse; cade il muro di separazione tra sacro e profano, tra Dio e l'uomo (si racconta che alla morte di Gesù 'viene lacerato il velo del tempio di Gerusalemme). La secolarizzazione ci aiuta fortunatamente a uscire dalle dicotomie di una religiosità separatistica e ci induce ad una maggiore avvertenza quando usiamo certi segni in funzione sacralizzante (es. come veniva e viene visto a volte l'abito religioso).
Ci sono conseguenze sul tipo di inserimento della Chiesa nella società: in una società sacrale la Chiesa detta legge su tutto, interviene in maniera diretta, anziché limitarsi a ravvivare nei fedeli il riferimento ai principi evangelici. Non è facile l'equilibrio in questo campo; non per nulla ci sono spesso frizioni da ambe le parti contendenti.

Con tutta la positività che comporta il fenomeno della secolarizzazione, non possiamo nasconderci i rischi. La degenerazione della secolarizzazione si chiama secolarismo. Ciò avviene quando I'autonomia significa 'fare a meno di Dio': l'uomo si illude di poter fare tutto da sé, non ha bisogno che Dio gli dica come si fa a essere uomo, a tutti i livelli.
È la tentazione del peccato originale; il peccato originale non è quello di un tempo antichissimo; continua nella storia di tutti gli uomini, perché tutti sono tentati di voler fare da soli, voi e io! Questa e la forma degenerata della secolarizzazione. Nel secolarismo la società si preclude la strada verso ogni prospettiva escatologica; ci si immerge nel presente. Dice Enzo Bianchi (Comunità di Bose) che 'oggi si vive come se si fosse immortali'.

2. La scienza

Dai tempi di Galileo in avanti, la Scienza ha costituito la molla fondamentale della moderna civiltà, con le sue preziose ?liazioni nello sviluppo industriale e nella tecnologia.
Nella fase postmoderna, la scienza ha ?nito per generare nel suo seno dei rampolli che stanno per attaccarla, o perlomeno per ridimensionarla (vedi K. Popper che relativizza la scienza a causa della 'falsificabilità'). Questo, del ridimensionamento della ragione e in particolare della scienza, mi pare sia uno degli spartiacque tra modernità e postmodernità. Vediamo comunque i tre processi signi?cativi da essa determinati.

Concezione evoluzionista Da un certo punto di vista, la parola 'evoluzione' ci richiama a discussioni ormai datate; dall'altra ci si accorge che l'evoluzionismo non e ancora assimilato a tutti i livelli dalle discipline umane, non è accolto nell’atteggiamento pratico; soprattutto le nostre categorie religiose sono spesso ancora rigide e fissiste. La constatazione fondamentale dell'evoluzionismo e che si procede dal caos all'ordine, dal meno perfetto al più perfetto, dalla specie inferiore a quella superiore, per cui e illusorio pensare che il mondo umano e infraumano fosse perfetto all'inizio.
Elenchiamo una serie di considerazioni che fanno da corollario al tema:
- La creazione è dinamica, non fissista; la creazione è in atto sotto i nostri occhi e tramite la nostra collaborazione (credo sia prezioso il contributo offerto in proposito da Teilhard de Chardin).
- Ogni fase storica è pertanto positiva, pur con le sue pecche da condannare; al passato non si deve guardare né con nostalgia, né con disprezzo. Lo sguardo di fede può recuperare ogni epoca; scrive il ?losofo G. Vattimo: "La modernità è un episodio della storia della salvezza" (Micromega '96, p. 191).
- La nostra chiave di lettura della storia oscilla ancora tra un Paradiso terrestre o una età dell'oro che ci avrebbe preceduto e le prospettive avveniristiche; non è ancora del tutto acquisito che il paradiso terrestre non e mai esistito come fase storica, e una categoria teologica; se mai e collocabile come meta verso cui procede il nostro divenire.
- Ogni equilibrio, ogni armonia sono sempre e soltanto tappe provvisorie nel divenire incessante; perché allora il nostro conservatorismo o fissismo di principio? Come se il buono fosse automaticamente nel passato soltanto! Non sarà che abbiamo un po' di artrosi mentale o spirituale?

Deve comunque accompagnarci la realistica consapevolezza che l'agire morale dell'uomo può recare intoppi o alterazioni alla evoluzione; non è lineare; ma procede a zig-zag. Forse sta scemando un certo ottimismo da sorti progressive'. “La storia come linea unitaria è in realtà solo la storia di ciò che ha vinto” (l. Sanna, p. 247).

Concezione dinamica di natura
ll nostro concetto di natura non e più un dato di riferimento fisso, oggettivo, 'naturale'; la nostra natura e un misto di dati oggettivi e di alterazioni dovute all'intervento dell'uomo. l bisogni “naturali”, come siamo abituati a chiamarli, non si distinguono più da quelli indotti e manovrati dalla pubblicità e dal mercato. Spesso noi viviamo nella 2^ natura, quella segnata dall'intervento dell'uomo, che non è oggettivabile ne può prescindere dalle manipolazioni umane. Ne deriva che la natura la, quella della presunta oggettività, non può più essere il punto di riferimento, o perlomeno è un punto insufficiente per offrire dettami all'etica (v. i problemi inerenti gli interventi di ingegneria bioetica, i metodi contraccettivi, l’omosessualità, la sessualità 'duttile' quale e vista oggi). lntervengono domande ineludibili e forse sconosciute nella loro urgenza ai nostri predecessori: ?no a che punto si può intervenire sulla natura 1^? Da dove traiamo i criteri etici di comportamento? Affiora una nuova base per l'etica: più che il riferimento a dati naturali-?siologici, conta il rapporto interpersonale, il rispetto delle persone, ecc... Anche se in contesto culturale differente, Giovanni Pico della Mirandola ci offre un passaggio sulla capacità che ha l'uomo di auto-svilupparsi: “Non ti ho fatto, o Adamo, ne celeste ne terreno, né mortale ne immortale, perchè di te stesso quasi libero e sovrano arte?ce ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine” (in Oratio de hominis dignitate).
La tecnologia

La tecnologia ricopre, di fatto, un ruolo di prim’ordine nella cultura del post-moderno. Anzitutto ha la capacità di creare quasi ex-novo: guardiamo ai nuovi tipi di materiale che vengono all'esistenza (v. la catena dei materiali sintetici e della plastica), guardiamo ai nuovi problemi che i nostri antenati non avevano: il debordare di ri?uti di qualsiasi genere, la polluzlone atmosferica, i rischi di Cernobyl,ecc... Nuovi problemi pongono nuove domande etiche e nuove risposte. La tecnologia inoltre dilata lo spazio all'in?nito (con il telecomando puoi essere presente ovunque), rende intercambiabili i tempi (dal presente ritorni al passato o ti spingi al futuro); la macchina ha la dittatura sul tempo; essa, scusate se profano s. Paolo, rende il tempo più breve, più raccorciato e pone l'uomo in un'ansiosa e perenne corsa contro il tempo. Da un lato la macchina ci fa guadagnare tempo, dall'altra ce ne divora ben di più (come le banche!). Una particolare attenzione dobbiamo porre alla tecnologia della comunicazione. C'è una serie di considerazioni da fare in merito:
- La tecnologia della comunicazione fa si che non siano determinanti i fatti, ma l’informazione e l’interpretazione sui fatti. Quanto mai calzante e l'affermazione di F. Nietzsche: “Non ci sono fatti, solo interpretazioni". Oppure si corre il rischio che il messaggio sia il mezzo stesso. Come diceva Mc Luhan:“il medium è il messaggio" (M. MC LUHAN, Gli strumenti del comunicare, Milano 1990, p. 21). Si può giungere cioè al paradosso di una comunicazione che comunica solo se stessa, oppure alla “ipertro?a della tecnica rispetto ai contenuti" (Savagnone, p. 356); - la parola detta in un angolo sperduto finisce per avere una cassa di risonanza enorme e spropositata;
- l'immagine, in particolare, determina le reazioni di intere masse. Non per nulla le battaglie elettorali corrono oggigiorno sull'onda delle immagini. E l'apparire può comportare, se non il dissolvimento, almeno l’affievolimento della realtà. Pare verificarsi quanto F. Nietzsche asseriva: “Che cos'altro posso asserire di una qualche sostanza, se non appunto i soli predicati della sua apparenza? Qui tutto e apparenza e fuoco fatuo e danza degli spiriti” (in La gaia scienza). Tutto questo ha una forte incidenza sul comportamento etico e sul quadro dei valori. Si arriva a essere qualcuno e a fare opinione per l’immagine che si propone. Chi oggi fa opinione? Il prete che sprona il suo piccolo gregge in una chiesa semivuota o i vari Baudo, Lerner, Santoro? A furia di vedere l'immagine di un personaggio, si e anche incuriositi di sapere cosa pensa e lo si memorizza bene (specie se l'immagine e anche esteticamente attraente). Ma nessuno di chi ci vede per strada resta incuriosito per sapere cosa pensiamo; anzi, se siamo preti o frati, la gente crede già di sapere in anticipo cosa pensiamo. Non e il caso di domandarci ora come atteggiarci di fronte al fenomeno; credo sia già molto prendere coscienza di tali meccanismi.
? Nella dilatazione dello spazio, teniamo presente la nuova situazione che viene a crearsi con la 'realtà virtuale', cioè il venire all'esistenza di un paese che non c'è e che pure e ben presente attraverso la tecnologia (v. in proposito l'art. “Il paese che non c'è" in Testimoni 30 aprile '96, n. 8). Pensate alla dilatazione dello spazio attraverso la rete internet. Occorre veramente porre le basi per un'etica che non condanni la tecnologia delle comunicazioni, ma che la sappia usare conservando il riferimento alla realtà, salvaguardando la vera comunicazione tra le persone, ecc...

3. Pensiero debole

Pensiero debole“ significa sfiducia e disincanto circa i grandi sistemi metafisici basati sulla nozione oggettiva di essere, o anche sfiducia nella possibilità del pensiero umano di dare una lettura universale ed esaustiva di tutto l’esistente (v. l’idealismo hegeliano) “Molta della filosofia moderna, da Cartesio ?no a Nietzsche, è consistita nella ricerca di certezze supposte incrollabili circa la natura umana, il senso della storia, ecc... La pretesa è stata sempre la stessa: credersi in possesso di certezze assolute costruite da mano umana” (D. Antiseri in “Avvenire” 7.02.98). Le radici lontane del pensiero debole affondano nel presupposto esistenzialistico che l'esistere e più ricco della nozione di essere; occorre quindi partire dall’esistere. Ma l'esistere presenta una serie in?nita di sfaccettature della verità. Non esiste una verità unica, fondata sul concetto metafisico e deduttivo di essere o, se esiste questa verità unica, non e percepibile da noi in quanto tale. Veramente "l'Occidente e il paese dell'occaso, cioè del tramonto dell’essere, come scriveva Heidegger. Dalla presunzione di cogliere la verità in sé, si scende al piano più modesto, quello appunto del pensiero debole: ognuno ha un’opinione sulla verità, verità può esistere per noi solo in quanto interpretata (la tesi era già stata sistematicamente formulata da L. Pareyson nell'opera 'Verità e interpretazione'; lo spunto remoto si puo rinvenire nell'affermazione kantiana sulla impossibilità di conoscere il 'noumeno'). Ora, le interpretazioni sono tante quanti sono gli individui che pensano: ecco perchè viviamo nell’era del ‘secondo me’ . "Si è sempre più consapevoli che la verità non puo ridursi a un'astratta corrispondenza del pensiero a una realtà in se costituita e del tutto indipendente dalla posizione dell’osservatore. ll che non significa che vero e falso siano interamente relativi alla varietà delle culture e delle interpretazioni individuali, ma che essi non sono accessibili se non a partire dalle interpretazioni” (v. Savagnone, p. 424 ss). L’interpretazione a sua volta si fa linguaggio; U. Eco e colui che tende a ridurre la meta?sica alla linguistica; all’essere viene sostituito il 'segno' come unica realtà accessibile al soggetto (è la Semiotica). Ne costatiamo dei riflessi nell'attuale esaltazione della comunicazione aldilà dei contenuti. C'e una tendenza nichilista, intesa non come impossibilità assoluta di adire la verità, ma come consumazione di strutture ritenute eterne; e appunto un indebolimento. Tutto ciò reca delle conseguenze:

stanno franando le grandi ideologie, sia di sinistra che di destra, le quali pretendevano di dare una lettura totalizzante della realtà umana;
“anche il mondo dei valori e tutto permeato di storicità; il che non signi?ca arbitrio individuale e relativismo soggettivo, ma chiede una fedeltà fondata sul rispetto e l'ascolto di messaggi ricevuti dagli altri, più che sulla certezza che le cose stanno in un certo modo e cosi sempre saranno “ (G. Vattimo, in Avvenire 7.02.98);
“La modernità pluralizza” scrive F. Garelli: si assiste al proliferare di opinioni e non si sa più quale sia quella giusta. Si arriva all’atteggiamento estremo bollato da qualcuno che non ricordo: “Oggi si invoca rispetto per le opinioni non per la verità. Osserviamo le rubriche televisive dei grandi dibattiti: (Amici, P.zza Pulita, Anno Zero, L’infedele, Ballarò ecc.): tutti dicono la propria opinione, nessuno accetta che l’altro si erga a giudice; non si conclude, ma si lascia la questione aperta, a livello di scambio-conflitto.

In un contesto cosi problematico e incandescente, anche la fede cristiana riceve sollecitazioni continue. C’è intanto un pensiero debole compatibile con la fede; è quello che fa prendere coscienza che l'umana conoscenza è sempre parziale e fallibile. “ll pensiero debole che va difeso non e un pensiero che abdica all'uso della ragione o che canta la vittoria del nulla. Esso intende piuttosto colpire l'abuso della ragione, di una ragione che si erge a dea ragione. L'uomo non è padrone di senso; è il mendicante di senso; l'uomo non e capace di costruire assoluti terrestri” (D. Antiseri, art.cit). È bene tornare a quanto asseriva Witgenstein “Pensare il senso della vita signi?ca pregare".
La tendenza inoltre all’oggettivizzazione (tipica del modo di pensare dell'Occidente) ha permeato anche la nostra religiosità, al punto da far diventare Dio un oggetto, che si può sviscerare o possedere, Si è persa la dimensione del mistero, dell’alterità di Dio. Da tempo il teologo protestante K. Barth ci ammoniva: “Non possiamo possedere Dio come oggetto. Egli e sempre altro”.

Per stare sul versante filosofico ricordiamo il famoso passaggio di Heidegger: “L'uomo non e il padrone dell'ente. L'uomo e il pastore dell'essere. La dignità del pastore consiste nell’essere chiamato dall'essere stesso a custodia della sua verità”. (M. HEIDEGGER, Lettera sull’umanesimo, in Segnavia, Milano 1987, p. 292). Aggiungiamo che “la purificazione della concezione di Dio dalle tendenze idolatriche del pensiero oggettivante dell'uomo, considerato come produttore e organizzatore del senso delle cose, è un grosso guadagno sia per la teoresi della teologia che per la prassi della vita spirituale” (l. Sanna, p. 279).

Cosi pure: non si deve con troppa facilità identificare la fede con un sistema di pensiero; il sistema è soltanto uno dei modi per esplicitarla e per organizzarla in un dato momento della storia. La stessa cosa vale per la formulazione dei dogmi:: se ogni verità è sempre interpretata, anche i dogmi sono interpretazioni di un aspetto della verità formulata secondo linguaggi e categorie transeunti. L'approccio al nucleo veritativo del dogma non può prescindere dalla decodi?cazione del linguaggio entro il quale è formulato. “Cosa vuol dire che il dogma e vero? Vuol dire che serve per camminare verso la verità, non che esprime la verità in modo compiuto” (C. Molari).

4. L'era della globalizzazione e della complessità

Globalizzazione

La globalizzazione è uno dei processi in atto e paci?camente accettato. Era già cominciata a livello industriale, poi nei mezzi di trasporto, nel commercio, nella finanza, nei mercati, nella comunicazione attraverso i mass-media. Grazie ad essa l'umanità vive oggi una forma nuova di esistenza che coinvolge tutti i popoli e tutte le persone; si sta sviluppando una specie di cultura planetaria. Attorno a questo dato, credo irreversibile, siamo chiamati ad un impegno di proporzioni mai viste: ad es. a elaborare un'etica che 'governi' e diriga il processo a favore dell'uomo e dei popoli e non contro i popoli, soprattutto contro i più deboli. Inoltre, onde arginare la tendenza all'uniformita e alla omogeneizzazione (vale a dire: il convergere di tutti verso i modelli più potenti), occorre salvaguardare il pluralismo e le differenze.
La globalizzazione tende ad avvicinare (e uniformare), e in tal modo porta all’avvicinamento di razze, culture, religioni differenti tra loro. Poteva essere semplice un tempo asserire il proprio rispetto quando ad es. l'islamico viveva nei suoi territori; ora invece si è avvicinato a noi vuoi attraverso i mezzi di comunicazione, vuoi attraverso la convivenza, la vicinanza ?sica. Non e più la stessa cosa.

L'era della complessità

In ragione di quanto appena detto, la nostra e una società complessa. ll termine complesso e da me usato nella sua derivazione etimologica: dal latino 'complector’ che significa accogliere-abbracciare. Più che in riferimento alle complicazioni, la nostra società e complessa nel senso che accoglie di tutto, in accostamenti e convivenze a volte anche stridenti.
Dato che esistono varie interpretazioni della verità, vari tipi di sensibilità, varie confessioni religiose, la società postmoderna diventa una grande contenitore, dove il tutto e l'opposto di tutto può trovare posto e addirittura una certa dignità. "Se la realtà è fatta di tanti pezzi fra loro non più componibili in sintesi organica, l'unico modo per cercare di comprenderla è quello di riunirli tutti insieme, rinunziando ad una loro classi?cazione gerarchica" (M. Tibaldi, in Settimana n. 35, 5 ott. '97).

Teniamo presente che espressione evidente di complessità è la struttura antropologica stessa dell’uomo: a partire da Freud è emersa una visione stratificata dell’uomo; abbiamo scoperto che l'uomo e un fascio di pulsioni contraddittorie tra loro e l'equilibrio umano non è un equilibrio di compattezza o di unicità, ma di rapporto armonico tra forze contrastanti. Prima che nella società circostante, e dal di dentro che noi viviamo la complessità. Aggiungiamo ancora che in noi c'è la stratificazione delle fasi del tempo: il passato anche più remoto, come la prima infanzia o addirittura la gestazione, continua ad interagire con il nostro presente e a condizionare il futuro. Non sono problemi di poco conto quelli che la società postmoderna deve dunque affrontare:

accogliendo di tutto, e possibile giungere a un amalgama minimo, che possa delineare una società omogenea?
Ci vuole rispetto e dignità per tutto e per tutti: come evitare il rischio dell’indifferenza e del relativismo? È ipotizzabile una gerarchia minima di valori? “Come evitare, da un lato gli irrigidimenti e dall'altro il piacere di confondere i con?ni?” (D. J. Haraway, Manifesto cyborg, Milano 1995, p. 41).
ll legittimo pluralismo religioso costringe il cristiano, reduce dall'antico adagio teologico “Extra Ecclesiam nulla salus” a dare un fondamento teologico all'atteggiamento di apertura verso le altre religioni; non può essere un far buon viso a cattiva sorte: “per non accapigliarci, accogliamoci".

Testi di riferimento

Studi

PAREYSON L., Verità e interpretazione, Mursia, 1971.
TERRIN A., New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992.
REALE A., Saggezza antica. Terapia per i mali dell'uomo d 'oggi, R. Cortina Ed., Milano 1995.
AA.W., Le sette religiose, Ancora, Milano 1996.
GARELLI F., Forza della religione e debolezza della fede, Il Mulino, Bologna 1996.
VATTIMO G., Credere di credere, Garzanti, Milano 1996.
BIANCHI E., Come evangelizzare oggi, Qiqajon, Bose 1997.
SAVAGNONE G., Il banchetto e la danza (La vita spirituale nella societa post-moderna), Paoline, 19
AAW., Fondamenti biblico-teologici della pastorale di evangelizzazione, CISM, Roma 2001.
99.I BELLET - CACCIARI - MOLARI, Il cristianesimo sta morendo?, L`A1trapagina, Città di Castello (PG), 2001.
SANNA I., L `antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Queriniana, Brescia 2001.

Documenti
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et spes.
PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 8 dic. 1975.
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 7 dic. 1990.
PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERELIGIOSO, Dialogo e annuncio, maggio 1991.
SINODO DEI VESCOVI, Assemblea speciale per l°Europa, ?ne 1991.
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, Roma 2001

ArticoIi – Riviste
Editoriale, La fede cristiana nell 'epoca post-moderna, in La Civiltà Cattolica, 1992-IV, 329-342.
Micromega '96 (suppl. al n. 5/95)
Il paese che non c 'è, in Testimoni, 8 (30 aprile 1996).
RATZINGER J., Lafede e la teologia ai giorni nostri, in La Civiltà cattolica, 1996-IV, 477~490.
MUCCI G., La postmodernità buona, in La Civiltà Cattolica, 1997-1, 435 ss.
TIBALDI M., Alle radici della crisi post-moderna, in Settimana, n. 35 (5 ott.`97).
AAW.. I mass media nell `era della globalizzazione, in Rivista di Teologia Morale, n. 131 (luglio-2001 )

C. BUCCIARELLI, L 'ambivalenza dei valori,
in Rivista de! volontariato, 7/8 (luglio-agosto) 2001
VALORI

Modernìtà Postmodernìtà
l'assoluto il relativo
l'essere l”apparire
il bene-essere il bene-esistere
l'unità la diversità
l’oggettivo il soggettivo
il reale il virtuale
l'identità l'alterità
il locale il globale
la monocultura la multicultura
lo sforzo il piacere
il dovere il diritto
il forte il light
il passato/futuro il presente
la sacralizzazione la secolarizzazione
la ragione il sentimento
la razionalità le emozioni
l’etica l’estetica
la formalità la creatività
la trasmissione la relazione
la certezza la ricerca
la sicurezza la non staticità
la sobrietà il consumo
la corporazione la competizione
la lentezza le velocità
il senso del limite il successo
la liberta regolata la deregulatíon