Racconti e Poesie
al tempo del Covid-19
  
  • Maria Pia Anselmo
    IL CORNONAVIRUS VISTO DA OSCAR W.
Miaoooo!
Sono Oscar, Oscar Wide. No non quello. Sono uno dei pochi gatti che, oltre ad avere un nome, ha pure un cognome. Voluto dalla figlia della mia, come definirla? Mamma? Padrona? Domestica umana? Chiamiamola mamma, visto che ha perfino imparato a farmi le fusa… Oh insomma, lei ci prova, poverina, mi fa quasi tenerezza perché non ci riesce molto bene ma apprezzo il suo sforzo la faccio contenta.
Quando mi portò qui a casa, ricuperandomi dalla veterinaria (brutta persona: lei si ostina a chiamarla zia Laura, ma di questa zia ho solo ricordi di iniezioni, di operazioni, di vaccini, di luogo chiuso… brrr!!). Sua figlia viveva ancora qui e il nome venne scelto da lei, che adora questo scrittore. Almeno, così mi hanno detto loro due: era uno scrittore intelligente, acuto, famoso, anche se poi ha avuto qualche traversia. Credo che la mamma,s e potesse, mi insegnerebbe anche a leggere mettendomi gli occhiali…
Lei li porta e da un mese a questa parte, porta anche la museruola quando arriva qualcuno (ultimamente sempre più di rado) e quando esce dal cancello.
Che strani questi umani!! Non solo si mette la museruola ma addirittura i guanti per aprire: cancelli, per uscire e andare a comprare bustine e crocchette per me (e gli altri ospiti felini di questa casa). E non parliamo dei rari contatti umani che ha in questo periodo: secondo me ha capito (gliel’ho fatto capire io, eh !!?!!) che gli umani sono cattivi e maligni, se no non starebbero così distanti da chi viene qui. Io mi sono sempre tenuto lontano dagli umani, quand’ero piccolo me ne hanno fatte di cose brutte per poi abbandonarmi come uno straccio lanciandomi sopra un balcone. Lei no, mi veniva a trovare quando ero dalla “zia veterinaria”, mi coccola, mi sfama, mi ha lasciato campo aperto sia sui sofà che sui letti. Infatti adesso dormo nel letto con lei, da un po’ di tempo ormai. E quando arriva qualcuno che non sia sua figlia e il suo compagno, io scappo, mi nascondo, non dimentico la cattiveria umana. E glie lo dico, noi due parliamo, ormai chi capiamo al volo. Ho impiegato cinque anni a capirlo, io sono qui ormai da cinque anni e adesso lei va in giro con guanti e museruola (veramente lei la chiama mascherina, ma la mascherina a me ricorda il carnevale, l’allegria, i colori, non quella roba ch copre il naso e bocca e sa di triste) e non la capisco quando parla. E poi, è proprio buffa e strana, quando arriva da fuori il cancello, lava tutto, borse della spesa, abiti, ma perfino le chiavi con cui apre i cancelli… Adesso ha sempre un bruttissimo odore di pulito, di disinfettante, di … studio medico…
Spero non le venga in mente di conciare pure me con la museruola, i guanti per le mie zampine o, peggio ancora, di lavarmi…!
Ogni tanto la sento parlare al telefono di un qualcosa che mi pare si chiami - vairus o virus – chissà cos’è … deve essere brutto però, se chiude tutte le porte, fa lavare tutto, ma proprio tutto, ci isola dal resto del mondo.
Io almeno vado come sui miei alberi nell’orto, il melo e il pesco sono i miei tiragraffi, mi faccio così bene le unghie su quei rami spessi. Potrebbe salire anche la mamma sull’albero e farsi le unghie invece di lamentarsi che il suo tiragraffi è chiuso; lei lo chiama “estetista”. Così come potrebbe rotolarsi nell’erba come me e sporcarsi di terra e riempirsi di fili d’erba tra i capelli, invece di andare da un nome strano, che mi sa di artefatto e roba non naturale, mi pare che lei lo chiami “parrucchiere” o “parrucchiera”. E lei continua a dire che è chiuso e come le manca, blah blah blah, taglio di capelli, tinta … uff !!!
Ma voi umani non potete vivere senza tutti questi orpelli? Imparate da noi qualcosa almeno, la spontaneità e la bellezza di vivere in modo più tranquillo e meno ossessionato dal superfluo.
Date più importanza ai rapporti felini, oh scusate, umani, fatevi diventare positivi e buoni.
In questo periodo non vi mancano?
Adesso me ne vado a dormire nell’orto, nell’aria tiepida, sotto l’ulivo che mi fa ombra...
Frrr… tante fusa… frrr….
  • Laura Barella
    IL MONDO DI GINA
L'anziana signora Gina viveva sola ormai da tanti anni, i capelli candidi come la neve e le fitte rughe che solcavano il suo volto, tradivano la sua tarda età. Aveva preso l'abitudine nel primo pomeriggio nelle giornate di pioggia di sedere sulla sua poltrona preferita davanti alla finestra e nelle belle giornate di sedere su una seggiola davanti alla porta di casa sua per vedere come diceva lei "un po’ di mondo".
Passavano tante persone c'era chi tornava al lavoro dopo la pausa pranzo, chi si recava a fare la spesa, chi andava a trovare un parente, c'erano i bambini che tornavano da scuola; in mezzo a tutte quelle persone c'era chi si fermava a scambiare due parole e chi la salutava con affetto. Più tardi il parco giochi di fronte si riempiva delle voci allegre dei bambini che si rincorrevano, che si spingevano sull'altalena. Gruppi di adolescenti camminavano per mano, sedevano sul muretto a raccontarsi la loro giornata.
Gina viveva nel suo mondo non aveva il televisore, non aveva il cellulare, passava le giornate ricamando, cucinando e sfogliando i suoi vecchi album di fotografie.
Un giorno, era il mese di marzo del 2020, come al solito si sedette sulla sua seggiola, ma la strada era vuota come pure il parco giochi, c'era un silenzio innaturale sembrava che il mondo si fosse fermato. Gina non capiva, si sentì sola e smarrita. Rientrò in casa con l'angoscia nel cuore, dove erano finite tutte le persone? E i bambini? Cosa mai poteva essere successo? Il giorno dopo uscì nuovamente in strada con la sua fidata seggiola, stesso scenario surreale. Finalmente passò un signore in divisa, forse un carabiniere. Si fermò accanto a Gina intimandole di rientrare in casa, ma lei non capiva, non sapeva. Cosa un virus? Una pandemia? Isolati? Restare a casa?. A Gina spuntò una lacrima, ora sarebbe stata completamente sola chissà per quanto tempo, lei che era sopravvissuta a una guerra, forse non si sarebbe salvata da questo nemico invisibile.
E così iniziarono per tutti, i giorni del “coronavirus”, giorni di isolamento, di distanziamento sociale, giorni dal tempo sospeso, giorni da reinventare. Furono i giorni dello smart working, della didattica a distanza, delle canzoni dai balconi di casa, delle videochiamate per sentirsi meno soli.
Le nostre abitudini cambiarono, non esisteva più la fretta, c’era tempo per riflettere e per ripensare alle nostre vite.
E intanto il cielo diventava sempre più limpido, libero da ogni inquinamento, come pure i mari i fiumi e la natura si risvegliava come ogni anno a primavera. Gina nel frattempo ricamava e cuciva mascherine protettive, scoprì che poteva ancora essere utile agli altri e che c’era tanta solidarietà, infatti un gruppo di volontari le portava regolarmente la spesa e la teneva aggiornata sugli ultimi avvenimenti.
Le notizie erano devastanti, i contagiati e i morti aumentavano di giorno in giorno, per questo motivo fu emanato un nuovo DPCM con una proroga delle restrizioni fino al 3 maggio 2020.
Il 4 maggio ci fu una graduale ripresa delle attività e ci fu la possibilità di ricongiungersi ai parenti, ma solo nell’ambito della regione.. Lo scopo era quello di vedere l’evolversi della pandemia e pensare più avanti ad una maggiore apertura.
La signora Gina intanto trascorreva parte della sua giornata seduta sulla sua poltrona accanto alla finestra che si affacciava proprio su quella strada e su quel parco che le avevano tenuto sempre compagnia con il suo via vai di adulti e bambini.
Il 19 maggio riaprirono tutti i negozi, le strade ora erano nuovamente solcate da un viavai di automobili e animate da tante persone.
Gina dalla sua finestra vide il cambiamento, ma con la saggezza che la caratterizzava capì che la completa rinascita era ancora lontana.
  • Laura Barella
    LA RINASCITA
E’ arrivato silenzioso, senza bussare,
prepotente si e’ insinuato nei corpi e nelle menti
ha liberato l’aria
ha restituito tempo
ha fatto riscoprire passioni sopite
ma … ci ha strappato le persone care
che sono andate via in solitudine
Ora dal nostro profondo
si innalza un grido di speranza
e’ giunto il momento della rinascita.
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  • Fr. Carlo Basili
    POESIE
poco male se non devo celebrare?
ho trattenuto nel cuore la tua gloria
e mi sono assetato del tuo amore.
gli amici non ne capiscono la cosa.
nella fase di moderata pandemia
elevo al Padre il tuo santo nome.
ancora il nostro sangue è risparmiato.
liberati dal fare,
ci diamo prigionieri all'otium integrale.
la Musa del niente ha una faccia da funerale.
RSA
il conto dei morti è relativo:
a migliaia nelle case di riposo
anziani in preda al sonno eterno,
trattati come gli immigrati.
veleggiano in un gran mare,
scrutando il cielo,tante bare
alla cerca di un segno di vita,
dove strambare verso i propri cari,
fare lutto insieme,
vincere così il male.
la via negativa
la morte ha inciso sulla carne
l'esito micidiale del tampone.
a chi è stato positivo
viene indicata la via negativa.
nessuna libagione sulla bara.
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  • Giuseppe Busso
    LA VACANZA
La giornata e la settimana si prospettavano interessanti. Dopo molti anni avrei passato una settimana con mio nipote, una cosa che avevo sempre desiderato ma che i timori e le preoccupazioni mie e degli altri avevano sinora impedito. Una settimana al mare, a San Bartolomeo, un paesino della Liguria in prossimità di Imperia dove da anni trascorrevo le vacanze.
Saremmo andati in treno, io non ho la patente, e la cosa si era presentata complicata: “Come farete a portare tutto quello di cui avete bisogno – obiettavano”. Ma cosa ci sarà da portare al mare in un periodo estivo, non c’è neanche bisogno del cappotto. E poi, suvvia, per una settimana, non c’è bisogno di portarsi dietro la casa. Avevo persino rinunciato alla mia solita pila di libri. Tanto Tiziano, non mi lascerà certo leggere, pensavo.
Tiziano era mio nipote, abitava in quel di Bologna e frequentava la seconda media; naturalmente era rimasto promosso ed aveva accettato senza obiezioni di passare una settimana con quel nonno strano, con la casa piena di libri, che non era capace a fare niente in casa, non aveva l’orto, non guidava e neanche sapeva nuotare. Mi chiedevo cosa aveva fatto scattare la curiosità. L’avrei capito presto.
Prendemmo il treno a Porta Nuova, quello per Cuneo Nizza, un percorso suggestivo con un breve tratto sulle ferrovie francesi, fra dirupi profondi e arditi ponti, prima di rientrare in Italia da Ventimiglia. Dal finestrino gli feci vedere tutti i paesi dove ero stato da ragazzo, dove era stato mio padre da ferroviere, dove ero andato io in colonia. Durante la fermata a Breil ad un tratto mi disse: “Nonno, devo fare un tema quest’estate, ho pensato che potresti darmi una mano.” Volentieri, gli risposi con un po’ di inquietudine. Vuoi vedere che qui sta il trucco? Che tema? “La professoressa ci ha chiesto di intervistare i nostri nonni sull’epidemia del Coronavirus, il Covid19, o come si chiama” spiattellò il pupo con il candore tipico dell’età.
Ossignur, ma non avete altro a cui pensare, pensai, sono passati un bel po’ di anni da quella cosa. Ma cosa vuole sapere la tua professoressa? “Dice di commentare la frase Dopo il Corona virus nessuno di noi, o molti di noi sarà più come prima e nessuna cosa, o molte cose saranno più come prima, una frase che nel periodo del contagio si sentiva spesso.”
Il treno intanto era ripartito, dopo l’incrocio con un convoglio proveniente dalla direzione opposta e correva, una fermata dopo l’altra, verso la Liguria. La giornata era calda e piena di sole.
Bella storia questa di raccontare il Coronavirus; non era stato un bel periodo quello del contagio, l’avevo in parte rimosso, ricordarlo mi faceva tornare alla mente il disagio e la sensazione di vuoto di quel periodo, erano stati parecchi mesi di una esperienza mai vissuta, paragonata da alcuni al periodo di guerra, un evento che la nostra generazione non aveva vissuto, ma i nostri vecchi, quei pochi ancora in vita, raccontavano.
Tiziano chattava con il suo cellulare muovendo le dita alla velocità della luce, non si era accorto del mio turbamento, io presi in mano un libro, “La bella estate” di Cesare Pavese, facendo finta di leggere. Turbamento o no, dovevo dire qualcosa, non potevo deludere il nipotino che con tutta probabilità aveva scelto di venire al mare con me per risolvere quel suo piccolo grande problema estivo. Con il libro davanti cominciai quindi a pensare a quel periodo.
Il 22 febbraio di quell’anno, il 2020 mi pare di ricordare, ero andato a trovare Tiziano a Bologna, i giornali parlavano di questo virus in Cina e i primi casi stavano comparendo anche in Italia, a Codogno, dove ero stato molti anni prima per un lavoro. Al ritorno incominciai a sentire parlare di “zone rosse”, isolate per impedire la diffusione del contagio. “Se chiudono tutto, ho visto ancora una volta mio figlio, mia nuora e mio nipote” pensai con scaramantica ironia, senza per la verità credere quel che pensavo. Nel giro di pochi giorni la situazione precipitò e tutti fummo reclusi per alcuni mesi. Ricordavo il silenzio delle strade, il canto mai sentito degli uccelli sulle piante del cortile, il giornale recapitato a casa la mattina. Poi i primi morti, anche fra gente che conoscevo, la consapevolezza della roulette nella quale eravamo tutti coinvolti, nonostante le precauzioni.
Verso mezzogiorno arrivammo a San Bartolomeo, con la solita mezzora di ritardo (neanche la pandemia era riuscita ad incidere sui ritardi dei treni), ci accasammo e mi misi ai fornelli a preparare qualcosa per sfamare Tiziano che stava dando evidenti segni di impazienza. Divorato il piatto di spaghetti al pomodoro e la milanese con patatine, il piccolo studioso tornò alla carica: “Nonno, quando cominciamo?” Cominciamo cosa, gli risposi, pensando di non far capire quanto mi preoccupasse quella prova. “Ma nonno, la ricerca sul coronavirus, non ricordi? Ne abbiamo parlato in treno” sentenziò implacabile.
Facciamo i piatti e la cucina e poi sono da te. Presi tempo. Credo di non averci mai messo tanto a lavare quattro piatti, una pentola, due padelle, due bicchieri e quattro posate. Lui intanto aveva tirato fuori il suo tablet e attendeva.
Eccomi qui, quali sono le domande? Mi sedetti davanti a lui rassegnato ed attesi. In fondo c’era anche lui in quelle settimane, frequentava l’asilo, qualcosa doveva pur ricordare. Per prendere tempo attaccai: tu cosa ricordi di quelle settimane? “Nonno le domande le faccio io, se no che intervista è? Certo che ricordo quel periodo – proseguì - per molte settimane non andai alla Scuola Materna, ero contento perché stavo tutto il giorno con papà e mamma, giocavo con i miei amici del cortile. Poi quell’anno hanno promosso tutti, pensa che pacchia!” Respinto con perdite, pensai.
“Ma perché – incalzò - voi promettevate di non essere più come prima? Come eravate prima?” Domanda da centomila euro. Arguto il fanciullo! Già, perché promettevamo? Mi resi conto che dovevo prendere sul serio la cosa. Vedi, caro Tiziano, la nostra generazione aveva avuto sino a quel momento una grande fortuna: non aveva vissuto guerre, almeno nell’Europa occidentale, per la prima volta dopo molti secoli. E questo aveva radicato in noi la certezza di essere padroni della nostra vita e del nostro ambiente: pensavamo di poterne disporre a piacimento senza limiti. E così da un lato il culto della persona, dell’esteriorità, della superficialità e dall’altro il saccheggio sistematico dell’ambiente nel quale vivevamo.
Tiziano scriveva diligentemente sul tablet. “Spiega meglio” mi disse. Stavo andando nel complicato, mi rendevo conto ma in fondo se l’era cercata. Vedi, proseguii, la nostra vita era diventata un continuo inseguire l’esteriorità, l’apparenza: stare un po’ di mesi da soli ci fece riflettere su ciò che è veramente importante nella vita. E poi tutte quelle morti vicine, anche di amici, fece maturare in noi la consapevolezza che la vita è un dono. Molti scoprirono o riscoprirono la religione. Colpì tutti e rimase famosa l’immagine del Papa di allora, Francesco, solo, sul sagrato di Piazza San Pietro, a pregare.
La stessa cosa per l’ambiente. Non so quando l’epidemia fosse collegata alla devastazione dell’ambiente, ma gli studiosi di allora si buttarono su questo tema per approfondirlo. Nei mesi precedenti si erano sviluppati movimenti ecologisti promossi da una certa Greta Thumberg, una attivista svedese. “Ah si, la stiamo studiando a scuola – interruppe Tiziano – ora è una deputata al Parlamento svedese”. In effetti gli allarmi lanciati allora da quella ragazzina fecero presa sui governanti, qualcosa fecero, anche se poi le logiche della produzione piano piano ripresero a prevalere.
Altra cosa importante, proseguii nel racconto che si stava facendo sempre più fluido, fu il sistema sanitario. Medici, infermieri e operatori sanitari si meritarono giustamente la fama i eroi del momento. Ogni guerra ha i suoi eroi e quella ebbe il sistema sanitario. “La professoressa ci da detto – interruppe Tiziano che stava prendendo gusto alla cosa - che da allora gli ospedali pubblici ebbero più soldi, prima li avevate un po’ taglieggiati”. Pur non sentendomi necessariamente autore dei tagli acconsentii. E’ vero, molti tagli erano stati fatti anche perché nell’ambiente erano frequenti le ruberie. Adesso la situazione è migliorata per la sanità pubblica. Però sono aumentate le tasse.
“Nonno, la professoressa ci ha detto che da allora si incominciò a fare lezione con il pc e i tablet. Ma come si faceva prima?” Lo guardai con tenerezza mentre teneva in mano sicuro il suo tablet, ricordando gli anni in cui andavo alle medie io: la classe, i banchi, le penne, i quaderni, i pochi libri, i professori e i registri. Tutto manuale, aveva il suo fascino.
Si, risposi, i mesi finali di quell’anno scolastico furono fatti a casa con i professori che facevano lezione da casa loro con il computer. E lì scoprimmo che quei ragazzi che noi consideravamo superficiali perché erano sempre con l’iphone in mano, erano più bravi di noi e si applicarono con molto impegno in questa forma nuova di apprendimento.
“Ci voleva il coronavirus per farvi capire questo? Per oggi basta così nonno, chiudiamo ed andiamo in spiaggia”
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  • Franco Capirone
    ANNO 2020
Correva l’anno 20-20 (come si dice: venti - venti e non duemila venti), già questo avrebbe già dovuto farci pensare che sarebbe stato un anno “diverso”… Poi qualche superstizioso diceva pure che era bisestile e che tutti gli anni bisestili non hanno mai riservato nulla di buono.. ma in fondo queste considerazioni ai più suscitava solo qualche sorrisetto…
Gennaio e febbraio scorrevano velocemente, poi qualche notizia che ci giungeva dalla Cina ci incuriosiva … ma poi in fondo la Cina è lontana ed il nostro tran tran proseguiva normalmente…..
Ma ecco, che all’improvviso poi scopriamo che la Cina, invece, è più vicina di non quanto si pensi…
Manca la mamma di una nostra iscritta… ci sentiamo in dovere di andare al rosario… ma, ma il rosario non c’è, solo un richiamo nella messa della domenica…. e un funerale ridotto al lunedì… che poi diventa ridottissimo.
Ecco il corona virus entra nella nostra vita di tutti i giorni… Una e-mail UNI3 ci comunica che lezioni e laboratori son sospesi per una settimana. Addirittura “una settimana” commentano i più .. non si voleva ancora credere che la cosa fosse così grave…. E che poi le settimane sarebbero diventate un mese e poi mesi…
Una frase ci martellava la mente “ restate a casa” ; ci si è resi conto che tutti avevamo tante cose da fare… Io, nel mio piccolo, avevo l’orto da avviare, avevo comprato un giovane ulivo di 2 anni, come gli anni della mia nipotina, e dovevo metterlo a dimora… quante cose in programma.. piccole cose ma che, per noi 3° Età, ci colorano la vita di tutti i giorni!
Poi, ci si rendeva conto che non si poteva più neppure vedere i propri cari… figli, e ancor più i nipoti e ci si rendeva conto di quanto fossero importanti quelle giornate “di turno” che tanti di noi dovevamo programmare…. E dire che ci mancano è essere riduttivi.
Si passano le giornate ai vari Tg con la speranza che ci annuncino che i dati migliorino … ma poi, almeno per me, passa la curiosità di consultare quelle curve che neanche con la lente si riesce a vedere quel famoso “picco” che dovrebbe poi darci la speranza che presto si torni alla normalità!
Una “normalità” che oramai credo che pochi riescano ad immaginare. Solo il pensiero di quanto questa situazione sia simile con quella della “Spagnola” mi porta ad essere ottimista. Se un secolo fa si è passati da quella epidemia alla “normalità” son certo che saremo capaci di venirne fuori anche adesso! Spero che il Vico abbia ragione anche questa volta!!
Altra considerazione che ho fatto guardando i politici nei TG, è quella che passano i secoli senza insegnarci nulla… Mi ha fatto venire in mente la meravigliosa pagina dei “Promessi sposi” quando Renzo porta i 4 capponi al dottor Azzeccagarbugli … pagina troppo bella per essere solo raccontata… meglio che lasci al Manzoni stesso di descriverla:
“Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”
Si certo .. “s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.
Meno male, che a parte il comportamento poco edificante di questi personaggi, si è scoperto che esiste una moltitudine di persone di buona volontà che si è fatta avanti, rischiando in prima persona la propria vita, a volte senza protezioni a volte senza essere informata, armata solo dalla volontà di aiutare o della responsabilità del loro ruolo… questi si che sono i nostri eroi silenziosi che il più delle volte nessuno li conosce.
Ma alla fine ecco, che come per miracolo, l’annuncio che tutti aspettavamo: “è stato scoperto il vaccino”, sicuro, si può produrre immediatamente per tutto il mondo … e tutti torniamo ad abbracciarci felici e contenti… ma poi mi sono svegliato!
Ma in cuor mio son certo che, se tutti ci crediamo a questo sogno, si realizzerà rendendolo una bella favola che racconteremo ai nostri nipoti!
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Rosella Cena
LA VITA AI TEMPI DEL CORONA VIRUS E COSA CI ATTENDIAMO DOPO

In principio fu il virus!
Stupore, incredulità, paura, incertezza, disorientamento. Ripasso tutto alla moviola della mente, a velocità sostenuta: immagini confuse di iniziative, direttive affannose, slogan incoraggianti, striscioni ai balconi: ANDRA’ TUTTO BENE.
I primi tempi sembrava un’esercitazione pubblica, di quelle che fanno i cinesi, per qualcosa che non sarebbe mai accaduto, e invece…..Uscire uno alla volta solo per la spesa o per motivi urgenti, mettere la mascherina (introvabile) e i guanti, mantenere la distanza di almeno 1 metro, non fare assembramenti, ecc. Si incontrano per strada amici e conoscenti, si fa solo un cenno di saluto da lontano come fanno i motociclisti. Io non riesco a parlare con la mascherina in faccia, mi sudano gli occhi e si appannano gli occhiali, mi cadono le cose di mano, sono proprio anziana, accidenti! Già, gli anziani. Improvvisamente tutti si accorgono di noi. Prima eravamo quasi invisibili, a volte un peso per la società, altre volte una categoria sociale da adescare con prodotti di bellezza o integratori miracolosi, crociere da sogno, attività fisiche e abbigliamento ever green.
Oggi siamo diventati una specie protetta, patrimonio dell’umanità, come la pernice bianca delle nevi e la lucertola delle Eolie. Un po’ mi fa ridere, perché io sono quella di sempre, con i miei sentimenti, le fragilità, le emozioni, lo scricchiolio strutturale e tutto un bagaglio di vita e di rapporti. Non sono quella nonnina sorridente che parla con i nipotini collegati in video, sono una donna non più giovane ma ancora stabilmente dentro la vita.
Ma ci sono stati anche momenti divertenti. Casalborgone è un piccolo paese, arrivi sulla piazza della fontana, crocevia di strade per il mondo, e oggi vedi i colombi che passeggiano tranquillamente in mezzo alla strada, come fossero a Venezia. I bar tutti chiusi, le madame fanno la spesa vestite in tuta, con capigliature provate e private delle amorevoli cure del parrucchiere. Io mi sono tagliata i capelli da sola, con l’aiuto di mio marito Umberto manidiforbice. Il risultato è dignitoso, dobbiamo solo perfezionarlo.
E’ arrivato il 25 Aprile. Metto al balcone la bandiera rossa, come sempre. Noi due reclusi facciamo un breve corteo con i gatti in cortile, non c’è neanche un cane. Le gazze osservano, si consultano, commentano l’evento. Ormai da tempo passeggiano indisturbate nel nostro cortile, sempre più vicine a casa. Ci sarà da preoccuparsi? Mi viene in mente il film UCCELLI, di Hitchcock e mi vengono i brividi.
Ieri pomeriggio ero seduta in cortile e guardavo il mio giardino pieno di fiori. E’ cresciuto un po’ selvaggio, con fiori spontanei che in anni precedenti strappavo via dalle aiuole. Oggi non lo faccio più, sento che non ho il diritto di distruggere una vita, neppure quella di un semplice fiore selvatico.
Così la Natura mi ripaga con una bellissima fioritura gialla, bianca, arancione, viola. Pennellate di colori mescolati sapientemente come in un quadro di Monet. Non avrei saputo fare di meglio.
La natura esiste sopra di noi, senza di noi. Noi le apparteniamo, lei no. Guardo il bosco rigoglioso di alberi verdissimi, alcuni fioriti di bianco: saranno le acacie e i sambuchi, gioia per le api. Sento la vita che preme alle mie porte, gli uccellini e le lucertole saettanti, le api sulla borragine, il cuculo nel fondo del bosco, invisibile, che mi sbeffeggia: “ Cucù, cucù, prigioniera ci stai tu “, il falchetto che combatte contro le cornacchie per la supremazia sul territorio. C’è tanto da vedere, se si aprono bene gli occhi.
Ho visto cadere alcuni fiori del glicine, al rallentatore, come nel film Pane e tulipani, quando lui aspetta ore per guardare cadere i petali dei tulipani. E’ quella la misura del tempo, un tempo sospeso, dilatato.
E arriverà il DOPO. Tutti dicono: si potrà tornare alla normalità. Ma quale normalità? Non quella di PRIMA, spero. Perché lì sta il problema. Bisognerà imparare ad essere flessibili, coraggiosamente ed onestamente critici, privilegiare la componente femminile, elaborare strategie diverse e adattabili alle situazioni, allenarsi alla resilienza. E fare spesso una manutenzione accurata del nostro mondo interiore, un costante restauro mentale, per liberarsi da inutili zavorre. Essere curiosi della vita.
Ricordarsi delle nostre capacità individuali emerse durante la pandemia, e rimetterle in azione.
Fare tesoro di questo tragico periodo e ripensarlo in azioni positive, utilizzare parole di cura, di ricostruzione, per rendere omaggio alle migliaia di persone che sono morte.
Renderci conto di quanto siano preziose certe condizioni che davamo per scontate: la libertà di movimento sul territorio, il contatto fisico, la nostra vita sociale, il rapporto con gli altri, ENTRARE IN LIBRERIA!
E mettere sullo stesso piano la salute umana, animale e ambientale, indissolubilmente legate.
Amare le cose belle intorno a noi, anche le più piccole, e diventare i custodi di quanto ci circonda.
“ Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare.
Io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”. ( Ivano Fossati )


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